Coronavirus, in Spagna fermi i controlli antidoping. In Francia test “adattati alle circostanze” in corso
Il coronavirus rischia di creare una spaccatura tra le diverse federazioni nazionali di ciclismo. La pandemia ha già stravolto il mondo del ciclismo, rivoluzionando il calendario e di fatto sospendendo quasi tutte le corse di marzo e aprile, nella speranza di ricollocarne la maggior parte nel prosieguo della stagione. Ma nel frattempo i professionisti si trovano a vivere in una situazione del tutto atipica, senza sapere quando torneranno a correre e per quali appuntamenti. E senza potersi allenare nelle stesse condizioni: se in Italia è concesso ai professionisti allenarsi all’aperto, in Paesi come la Spagna è interdetta anche a loro ogni uscita all’aria aperta. Con tutti gli svantaggi che questa scelta implica per gli atleti locali.
Un’altra grossa differenza tuttavia arriva nel mondo della lotta al doping. L’AFLD, agenzia francese di antidoping, ha annunciato che il programma dei test fuori dalle competizioni sarà confermato, per quanto “adattato alle circostanze”. I corridori dunque dovranno continuare a fornire i loro dati sulla localizzazione e a riferire tutte le informazioni che riguardano la loro situazione individuale nell’attuale contesto. I controlli a sorpresa potranno essere effettuati per garantire il regolare svolgimento della preparazione di Giochi Olimpici e Paralimpici. La stessa agenzia ha poi ricordato che comunque buona parte dei medici, essendo professionisti, sono impegnati nel ruolo di contenimento della pandemia.
Situazione ben diversa in Spagna, dove l’AEPSAD, agenzia antidoping locale, è di fatto inoperosa. Gli operatori sanitari che vi lavorano si sono infatti messi a disposizione dello Stato, insieme alle strutture e al materiale utilizzabile per i test. L’antidoping di fatto non è visto come una priorità, ed è realistico pensare che non verranno fatti test in questo periodo. Con un’inevitabile conseguenza: i risultati della stagione ciclistica, quando questa ripartirà, potrebbero dipendere anche dalla buona fede dei ciclisti residenti nelle nazioni in cui i test antidoping sono di fatto sospesi.
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